operaio,partigiano della Brigata Matteotti, poi Divisione Dario Barni; nato a Stradella il 6 luglio 1924 e residente a Stradella. Entrò a far parte della Resistenza nella Giustizia e Libertà dislocata nel piacentino e operò nella Volante del Ten. Guido.Fu di famiglia socialista, duramente provata dalla guerra (il padre era un grande invalido del primo conflitto mondiale nel quale aveva riportato il congelamento degli arti inferiori). Durante il grande rastrellamento dell autunno - inverno1944-1945, Carini si unì ai partigiani della Matteotti nel distaccamento comandato da Luigi Bassanini - Mima- dislocato nei pressi di Volpara e chiamato impropriamente - Stradella -essendo la maggior parte dei suoi componenti abitanti in questo Comune, Carlo ebbe mansione di capo squadra. Il 1° gennaio del 1945, sorpreso con alcuni dei suoi nella frazione Colombato di Montevalvo Versiggia da un forte contingente della Sicherheits, ingaggiava combattimento impegnadolo fortemente. Mentre tentava di portare in salvo il compagno Ennio Chiesa ferito, venne egli pure colpito e successivamente passato per le armi. Affrontò il plotone di esecuzione con fierezza e ardimento, come è documentato nella motivazione che qui si legge nel Decreto presidenziale del 22 aprile 1972, registrato alla Corte dei Conti il 30 maggio 1972, registro 18 - Difesa foglio 119 - G.U. 197 del 29 luglio 1972. Al V.M. per attività partigiana - alla memoria-:
Generoso e ardito caposquadra partigiano non esitava con pochi altri arditi, ad attaccare volgendole in fuga, superiori forze nemiche che, nottetempo, stavano compiendo dure rappresaglie verso la popolazione civile inerme. Nella generosa azione cadeva, colpito a morte, per la libertà della Patria. Montecalvo Veriggia 1 gennaio 1945.
Alla costituzione della Divisione Valle Versa - Dario Barni- gli fu intitolata una brigata comandata da Secondo Gardella - Gordon-; commissario Luigi Casali - Gigi-
Il Comune di Stradella gli ha dedicato una via cittadina e i suoi resti riposano nel Sacrario dei Caduti Partigiani del cimitero di Stradella.
(Fonte: I Caduti della Divisione Matteotti Valle Versa Dario Barni - Bruno Meriggi)
Lo scontro di Colombato
(tratto da “ La Resistenza e i suoi Caduti tra il Lesima e il PO” di Ugo Scagni ed. Guardamagna)
“ Una pattuglia numerosa si spinge a Colombato e in essa ci sono persone che hanno il volto mascherato perché probabilmente sono del paese e quindi non vogliono farsi riconoscere.
I fascisti sanno sicuramente che a Colombato, la sera precedente, diversi partigiani si erano riuniti e, nonostante il pericolo di cattura incombente, avevano festeggiato la nascita dell anno nuovo, proprio nello stesso locale, di proprietà di Mario Vitali, in cui nel settembre precedente avevano fondato una squadra volante della Tundra.
Ora essi stanno cercando gli stessi partigiani e quegli abitanti che li hanno aiutati e continuano ad aiutarli malgrado i pericoli a cui vanno incontro.
Al sopraggiungere dei repubblichini a Colombato, il partigiano milanese Giuseppe Bisighini, che è nascosto nel paese, fugge ma è notato dai nemici. Questi tentano di colpirlo con le loro armi poi per rappresaglia incendiano la cascina dalla quale ritengono che egli sia fuggito.
Gli altri partigiani che si trovano nelle vicinanze, messi in allarme dai rumori degli spari e dal fumo dell incendio, accorrono a Colombato per dare battaglia.
Valentino Dezza e i suoi uomini, arrivati nel paese, cercano di individuare le case in cui sono entrati i nemici.
I cannetesi salgono da Cascina dell Oca e si appostano in parte sull altura di Costa e in parte vanno in prima linea al fianco degli uomini di Dezza.
Gli stradellini salgono da Poggio di Volpara e tentano di avvicinarsi a Colombato senza far rumore. L intento di tutti è di sorprendere quei fascisti che sono entrati nelle case a fare razzie, colpirli e poi ritirarsi prima che il grosso dei nemici, rimasto nei pressi della chiesa, possa reagire. Ma l azione a sorpresa che i partigiani stanno concertando viene purtroppo a mancare nel momento dell esecuzione, perché una donna del posto, temendo la probabile reazione di rappresaglia dei fascisti, supplica a voce alta gli uomini di Tino di non sparare e le sue parole vengono udite da alcuni repubblichini che senza indugio aprono il fuoco su quei partigiani che si trovano nella posizione più avanzata.
Questi a loro volta rispondono, ma senza alcun successo, perché i nemici sono al coperto e hanno l ausilio della mitraglia pesante, che subito entra in funzione dall altura del castello, senza che i partigiani possano adeguatamente contrastarla in quanto sono sprovvisti di armi a tiro lungo.
Sottoposti come sono al micidiale martellamento della mitraglia che spara da lontano e al tiro ravvicinato delle armi dei fascisti che si trovano a Colombato, i partigiani da attaccanti si devono trasformare subito in difensori e meditare sul modo di uscire dalla lotta.
Nel giro di pochissimo tempo la situazione precipita perché l altra mitraglia che i fascisti hanno appostato sul camion viene fatta avanzare a ridosso degli avamposti partigiani. Questi, di conseguenza, dopo un eroico tentativo di resistenza in cui hanno diversi feriti, devono ripiegare dal luogo dello scontro.
Mentre avviene questa furiosa sparatoria attorno a Colombato, alcuni fascisti, eludendo la vigilanza dei partigiani appostati in seconda linea, si sono arrampicati sull altura di Costa, aggirando così tutti i partigiani che combattono nella zona sottostante.
Dall alto della collina appena raggiunta, ora anche costoro sparano sui partigiani che stanno affannosamente ripiegando da Colombato e il loro ripiegamento si trasforma in una rotta disordinata nella quale molti cercano di salvarsi senza badare alle sorti dei compagni. In questo cruento e sfortunato epilogo della lotta, tre giovani, Carlo Carini, Ennio Chiesa e Andrea Fusi perdono la vita perché colpiti in combattimento o fucilati dai nemici dopo essere stati fatti prigionieri. Altrettanti sono i feriti che però riescono sottrarsi alla cattura e alla sicura fucilazione prima che il cerchio dei rastrellatori si chiuda.
Uno, Livio Pontiroli detto Canobbio, è gravissimo e non essendo possibile allontanarlo dal luogo della battaglia, viene prontamente assistito sul posto da un agricoltore di Croce, Mario Agostino Scabini, che non curante del pericolo a cui va incontro, lo nasconde nella sua stalla un attimo prima dell arrivo degli uomini di Fiorentini.
A completamento della loro azione, i fascisti minacciano di morte gli abitanti che trovano sul proprio cammino perché ritengono che abbiano aiutato i partigiani a sfuggire alla cattura; poi per rappresaglia bruciano quasi tutte le cascine di Colombato e ad appiccare gli incendi sono quegli uomini mascherati che si erano uniti ai repubblichini al momento del loro arrivo.
Sta ormai scendendo la sera, una delle tante sere tristi di quel lungo inverno, quando i fascisti finalmente lasciano il paese portando con sé alcuni abitanti tra cui l ostetrica del paese.
Dietro di loro, in un generale silenzio fatto di angoscia e di sgomento, arde il gran rogo di Colombato ad illuminare le prime ombre della notte. “
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