Monumento posto in località Colombato all'incrocio tra la s.p. 201 e la s.p. 72 nel comune di Montecalvo Versiggia
Lo scontro di Colombato
(tratto da “ La Resistenza e i suoi Caduti tra il Lesima e il PO” di Ugo Scagni ed. Guardamagna)
“ Una pattuglia numerosa si spinge a Colombato e in essa ci sono persone che hanno il volto mascherato perché probabilmente sono del paese e quindi non vogliono farsi riconoscere.
I fascisti sanno sicuramente che a Colombato, la sera precedente, diversi partigiani si erano riuniti e, nonostante il pericolo di cattura incombente, avevano festeggiato la nascita dell'anno nuovo, proprio nello stesso locale, di proprietà di Mario Vitali, in cui nel settembre precedente avevano fondato una squadra volante della Tundra.
Ora essi stanno cercando gli stessi partigiani e quegli abitanti che li hanno aiutati e continuano ad aiutarli malgrado i pericoli a cui vanno incontro.
Al sopraggiungere dei repubblichini a Colombato, il partigiano milanese Giuseppe Bisighini, che è nascosto nel paese, fugge ma è notato dai nemici. Questi tentano di colpirlo con le loro armi poi per rappresaglia incendiano la cascina dalla quale ritengono che egli sia fuggito.
Gli altri partigiani che si trovano nelle vicinanze, messi in allarme dai rumori degli spari e dal fumo dell'incendio, accorrono a Colombato per dare battaglia.
Valentino Dezza e i suoi uomini, arrivati nel paese, cercano di individuare le case in cui sono entrati i nemici.
I cannetesi salgono da Cascina dell'Oca e si appostano in parte sull'altura di Costa e in parte vanno in prima linea al fianco degli uomini di Dezza.
Gli stradellini salgono da Poggio di Volpara e tentano di avvicinarsi a Colombato senza far rumore. L'intento di tutti è di sorprendere quei fascisti che sono entrati nelle case a fare razzie, colpirli e poi ritirarsi prima che il grosso dei nemici, rimasto nei pressi della chiesa, possa reagire. Ma l'azione a sorpresa che i partigiani stanno concertando viene purtroppo a mancare nel momento dell'esecuzione, perché una donna del posto, temendo la probabile reazione di rappresaglia dei fascisti, supplica a voce alta gli uomini di Tino di non sparare e le sue parole vengono udite da alcuni repubblichini che senza indugio aprono il fuoco su quei partigiani che si trovano nella posizione più avanzata.
Questi a loro volta rispondono, ma senza alcun successo, perché i nemici sono al coperto e hanno l'ausilio della mitraglia pesante, che subito entra in funzione dall'altura del castello, senza che i partigiani possano adeguatamente contrastarla in quanto sono sprovvisti di armi a tiro lungo.
Sottoposti come sono al micidiale martellamento della mitraglia che spara da lontano e al tiro ravvicinato delle armi dei fascisti che si trovano a Colombato, i partigiani da attaccanti si devono trasformare subito in difensori e meditare sul modo di uscire dalla lotta.
Nel giro di pochissimo tempo la situazione precipita perché l'altra mitraglia che i fascisti hanno appostato sul camion viene fatta avanzare a ridosso degli avamposti partigiani. Questi, di conseguenza, dopo un eroico tentativo di resistenza in cui hanno diversi feriti, devono ripiegare dal luogo dello scontro.
Mentre avviene questa furiosa sparatoria attorno a Colombato, alcuni fascisti, eludendo la vigilanza dei partigiani appostati in seconda linea, si sono arrampicati sull'altura di Costa, aggirando così tutti i partigiani che combattono nella zona sottostante.
Dall'alto della collina appena raggiunta, ora anche costoro sparano sui partigiani che stanno affannosamente ripiegando da Colombato e il loro ripiegamento si trasforma in una rotta disordinata nella quale molti cercano di salvarsi senza badare alle sorti dei compagni. In questo cruento e sfortunato epilogo della lotta, tre giovani, Carlo Carini, Ennio Chiesa e Andrea Fusi perdono la vita perché colpiti in combattimento o fucilati dai nemici dopo essere stati fatti prigionieri. Altrettanti sono i feriti che però riescono sottrarsi alla cattura e alla sicura fucilazione prima che il cerchio dei rastrellatori si chiuda.
Uno, Livio Pontiroli detto Canobbio, è gravissimo e non essendo possibile allontanarlo dal luogo della battaglia, viene prontamente assistito sul posto da un agricoltore di Croce, Mario Agostino Scabini, che non curante del pericolo a cui va incontro, lo nasconde nella sua stalla un attimo prima dell'arrivo degli uomini di Fiorentini.
A completamento della loro azione, i fascisti minacciano di morte gli abitanti che trovano sul proprio cammino perché ritengono che abbiano aiutato i partigiani a sfuggire alla cattura; poi per rappresaglia bruciano quasi tutte le cascine di Colombato e ad appiccare gli incendi sono quegli uomini mascherati che si erano uniti ai repubblichini al momento del loro arrivo.
Sta ormai scendendo la sera, una delle tante sere tristi di quel lungo inverno, quando i fascisti finalmente lasciano il paese portando con sé alcuni abitanti tra cui l'ostetrica del paese.
Dietro di loro, in un generale silenzio fatto di angoscia e di sgomento, arde il gran rogo di Colombato ad illuminare le prime ombre della notte. “
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