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BIOGRAFIA DI MARIO SPADARI (Ricengo, 2.11.1922- Ohrdruf, Buchenwald, 12.02.45) a cura del prof. Massimo Piacentini (Lardirago)
Mario Spadari nasce il 2 novembre 1922 a Ricengo, piccolo paese rurale della provincia di Cremona, da Antonio e da Tomasina Bianchi. La sua è una tipica famiglia di braccianti agricoli padani, numerosa quanto povera. Mario cresce infatti insieme ad un altro fratello, Luigi (classe 1923) e a ben quattro sorelle più piccole: Emilia, Francesca, Iolanda e Maria. La sua è una famiglia di sentimenti antifascisti, sappiamo infatti che il padre Antonio rimase fedele all’idea socialista anche durante il Ventennio e che il padre e il fratello Luigi fin dall’immediato dopoguerra risultavano entrambi iscritti al Partito Comunista Italiano.
A Milan gh’è ‘l pan!, così dice un motto popolare assi diffuso in Lombardia. E così, come tante altre, anche la famiglia di Mario cerca di sfuggire alla miseria trasferendosi dal cremonese alle cascine del milanese nel tentativo di migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro. E’ una vita dura e seminomade, che li porta ogni anno a San Martino, alla scadenza del contratto di lavoro, a tentare la fortuna trasferendosi in un’altra cascina come obbligati, sottoposti ad una dipendenza quasi servile dal fittabile, che non a caso chiamano padrone. Per un certo periodo, all età di circa dieci anni, Mario e il fratello trovano un impiego presso un negozio di gastronomia di Milano, nel vicino quartiere periferico dell Ortica e hanno così la possibilità di apprendere una professione diversa, rispettivamente quella del cuoco-macellaio e quella del panettiere. E’ un occasione per loro importante nella prospettiva di sottrarsi allo sfruttamento ed alla schiavitù della cascina e così la speranza di una vita diversa balena per quel breve periodo nella mente dei due fratelli. Se non che il fittabile dell azienda agricola dove lavora il padre, che non vuole perdere delle braccia tanto utili (Mario è ricordato come un gran lavoratore), sotto la minaccia di scacciare l intera famiglia, costringe il padre a riportare i due figli in cascina, obbligandoli a licenziarsi ed a ritornare all attività di mungitori. E’ un momento particolarmente difficile per la famiglia, un momento in cui i due ragazzi sono costretti persino a mendicare per le strade. Non è difficile capire come per questi braccianti l opposizione al Fascismo sia un fatto prepolitico, un fatto di istinto sociale per loro quasi naturale nel momento in cui identificano i fascisti con i fittabili, la cui classe sociale effettivamente ebbe un ruolo decisivo nell affermazione del Fascismo.
Nel 1940, all’entrata in guerra dell’ talia, Mario viene chiamato alle armi e partecipa come caporale in aeronautica in servizio presso gli aeroporti. L 8 settembre del 1943, in occasione dell’armistizio, Spadari sceglie di disertare e di raggiungere la famiglia, nel frattempo trasferitasi alla cascina Malnido, in comune di Landriano (Pavia). Dopo un avventuroso viaggio in bicicletta, sfuggendo ai Fascisti ed ai Tedeschi che nel frattempo avevano occupato l Italia, verso la fine di settembre si ricongiunge temporaneamente alla famiglia prima di darsi alla macchia (non rispose infatti ai bandi di chiamata alle armi della R.S.I.) e di unirsi ai numerosi giovani renitenti, i cosiddetti sbandati, che si nascondevano nei campi e nelle cascine nei dintorni di Landriano. Di tanto in tanto, di nascosto, riesce a far visita ai suoi cari per salutarli e per rifocillarsi. Come gli altri giovani, anche Mario ricordato come un bel ragazzo alto, biondo e con gli occhi azzurri, molto vivace e insofferente nei confronti delle prepotenze, con un debole per le ragazze e i balli sull aia, non resiste al richiamo del divertimento. Così, il giorno 2 febbraio del 1944, con gli altri amici sbandati si reca in bicicletta a Vidigulfo dove, all’uscita dal cinema, pare a seguito di una delazione, viene arrestato e portato nella sede di Vidigulfo e quindi alle carceri di Pavia. Frequenti rastrellamenti delle Brigate Nere alla ricerca dei renitenti nella zona di Vidigulfo nella primavera del 1944 sono in effetti ricordati anche da Ercole Magni, allora giovane antifascista locale, nella testimonianza resa il 26.10.1976 all Istituto pavese per la Storia della Resistenza e della Età contemporanea.
Sappiamo che successivamente Mario Spadari viene trasferito in Germania per ordine della Sipo (Polizia di sicurezza Nazista) transitando per il campo di Bolzano. Lo ritroviamo quindi dall 11.05.44 come lavoratore coatto ad Augsburg (Augusta, in Baviera) con la qualifica di meccanico, nella importante fabbrica di areoplani Messerschmitt, che aveva sede in questa città. Le condizioni di questi Zivilarbeiter, cioè Lavoratori civili, potevano variare da luogo a luogo, fermo restando un estenuante lavoro, la fame ed il freddo degli Arbeitslager (campi di lavoro), in cui tuttavia si poteva a volte ancora godere di alcuni momenti di relativa libertà. Approfittando di una di queste occasioni Mario, insieme ad altri compagni, mette in atto un piano di fuga per rientrare in Italia e per sottrarsi all’obbligo di lavorare per i Nazisti e di aiutarli, suo malgrado, nello sforzo bellico. Il giorno 21.09.44 Mario risulta infatti essere fuggito in direzione sud, verso la Svizzera, ma la sua latitanza è purtroppo di breve durata in quanto cinque giorni dopo, il 25 settembre viene scoperto e di nuovo arrestato dalla Gestapo nella località di Oberdorf, a circa trenta km dal luogo della fuga. Da questo momento, ormai segnalato come fluchtig (fuggiasco) dalla polizia politica del Reich, la sua sorte è segnata. E’ attestata la sua detenzione a Kempten, sottocampo di Dachau, insieme ad altri italiani, tra i quali Stefano Garatti di Castelnovate, frazione di Vizzola Ticino (Varese), anche egli operaio presso la Messersmitt di Augsburg, dove abitava in un campo al medesimo indirizzo di Spadari e cioè in Neusaberstrasse, 14-15. Entrambi compaiono sulla lista di trasporto diretta a Dachau del giorno 13.11.44, classificati ora come Schutzhaiftlinge, cioè prigionieri politici nemici del Reich. Qui vengono immatricolati uno dopo l altro, Garatti con il n. 124903 e Spadari con il n. 124904. In questa occasione Spadari si dichiara di professione cuoco, forse anche nel tentativo di essere destinato a lavori che si svolgevano all’interno, meno massacranti e di evitare una probabile morte per denutrizione. Dichiara altresì di avere frequentato fino alla sesta classe elementare (come era effettivamente previsto dalla legge Orlando del 1904, che aveva portato l obbligo scolastico fino a dodici anni) e di conoscere la lingua francese, appresa evidentemente durante la campagna di Francia. La permanenza a Dachau termina il 4.12.44, giorno in cui i due compagni di sventura vengono di nuovo trasferiti, questa volta a Buchenwald. Qui i loro destini si separano per sempre, andando entrambi incontro ad una tragica sorte. Garatti risulta infatti deceduto soltanto pochi giorni dopo il suo arrivo. Spadari viene trasferito il 9.12.44 al sottocampo S III di Ohrdruf, definito nei documenti zeltlager, cioè lager di tende, a 48 chilometri da Buchenwald. Si trattava di un sottocampo che era stato aperto nel novembre del 1944 per recludervi 1000 prigionieri, dei quali cinque mesi dopo, soltanto 200 erano ancora in vita. Nel marzo del 1945 contava circa 13.000 prigionieri di varie nazionalità, in gran parte Ebrei, le cui condizioni di vita e di lavoro erano spaventose. I prigionieri erano alloggiati in vecchie baracche di legno senza finestre (in precedenza stalle per i cavalli) ed in tende sovraffollate. Non c erano letti ed i prigionieri dovevano dormire sulla paglia sporca del pavimento, dotati di una sola coperta. Qui, dall’elenco accuratamente spuntato dei prigionieri effettivamente presenti il giorno 24.12.44, all’appello del mattino – appello che rappresentava una vera e propria tortura per i prigionieri che dovevano restare sull attenti sulla neve per ore e ore - possiamo ricavare le ultime informazioni sulla tragica vicenda di Mario. Era stato destinato al blocco 17, nella parte sud del campo, un Aussen kommando in cui, ben diversamente da quanto Mario aveva sperato al suo arrivo, si trovò addetto a svolgere i lavori esterni più pesanti e massacranti. A Ohrdruf infatti i Nazisti utilizzavano come schiavi i prigionieri costringendoli a scavare gallerie segrete che avrebbero dovuto accogliere, in caso di ritirata da Berlino, il treno proveniente dal quartier generale di Hitler. L’orario giornaliero andava dalle 10 alle 14 ore di lavoro durissimo e pericoloso, cui si aggiungevano lunghe marce, continue percosse ed appelli estenuanti. In una situazione simile, anche una persona sana e robusta sarebbe potuta sopravvivere soltanto per pochi mesi. Ricoverato il giorno 2 febbraio 1945 nella cosiddetta infermeria del campo, in cui secondo le testimonianze dei sopravvissuti, mancava praticamente tutto, Mario Spadari muore dieci giorni dopo per insufficienza miocardica aggravata da risipola facciale e gastroenterite acuta di esito letale, alle ore 15.15 del giorno 12.02.45 (in un altro documento del 2.03.45 l’ufficiale medico dell’infermeria attribuisce invece la morte, più sbrigativamente, a setticemia aggravata da risipola facciale). Questo almeno è quanto si evince dalla cartella clinica, che si presenta come un vero e proprio monumento di ipocrisia prodotto dalla infernale e folle macchina burocratica che governava l universo concentrazionario Nazista. Ad una prima lettura infatti, se non conoscessimo le spaventose condizioni in cui le truppe Americane della 89a Divisione di fanteria trovarono questo campo al momento della liberazione il 4 maggio 1945, sembrerebbe di capire che Spadari, evidentemente ormai irrimediabilmente provato nel fisico, venne comunque curato scrupolosamente dai medici del campo, i quali intervennero con tutte le terapie disponibili a quel tempo. In realtà il contenuto di questa cartella rimanda ad un testo fisso standard che gli infermieri dell’ospedale del campo trascrivevano sulle cartelle cliniche dei malati seguendo gli ordini delle S.S. La cartella ci dice quindi non tanto quello che effettivamente fu fatto per curarlo, quanto quello che si sarebbe dovuto fare. In realtà, dei pochissimi farmaci disponibili si impossessavano regolarmente gli infermieri tedeschi (in genere prigionieri criminali comuni), i quali li vendevano poi a chi poteva permettersi di acquistarli. Del resto, nella logica folle e criminale del lager, non c’ ra nessun interesse a mantenere in vita detenuti che, ormai invalidi al lavoro, non erano più di alcuna utilità al Reich e dei quali, anzi, era necessario favorire al più presto la fine naturale per fare posto ad altri sventurati.
La famiglia di Mario Spadari, che non ricevette più notizie del figlio durante tutto il tempo della detenzione, venne a sapere della morte di Mario soltanto molto tempo dopo la fine della guerra. La sorella Jolanda ricorda tuttora lo strazio della madre che, dalla scomparsa del figlio, per molti anni, anche dopo la fine della guerra, ogni giorno si recava ad attenderlo all ingresso della cascina, nella speranza di vederlo ritornare.
Massimo Piacentini, Landriano 12.10.23
Bibliografia :
- Bartolini A. Terrone A., I militari nella guerra partigiana italiana, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito, 1998
- I deportati pavesi nei lager Nazisti. A cura di D. Brianta, A. Ferraresi, P. Lombardi, C. Sacchi, E. Signori, presentazione di G. Guderzo. Pavia, 1981, pag.47-48, 54, 158.
- Dizionario biografico della deportazione pavese, a cura di A. Arrigoni e M. Savini, Pavia, 2005, p.171-72.
- Intervista al sindaco di Vidigulfo Alessandro Gavoni in data 26.10.76, Registrazioni trascritte di testimonianze orali n.73, presso l Istituto pavese per la Storia della Resistenza e della Età contemporanea
- Il libro dei deportati, I deportati politici 1943-1945. A cura di G. D Amico, G. Villani, F. Cassata, Milano, 2009
- Schmidt van der Zanden, Ohrdruf (SIII), in The United States Holocaust Museum, Encyclopedia of camps and ghettos, 1933-1945, vol. I, Part A, 2009, pagg. 402-5
- Testimonianza orale rilasciata da Luigi Spadari all Aned di Pavia il 23 dicembre 1976, Fondo Aned presso l Archivio dell Istituto per la Storia della Resistenza e della Età contemporanea
- Venegoni D., Uomini, donne e bambini nel lager di Bolzano. Una tragedia italiana in 7809 storie individuali, Milano, 2004
Archivi consultati :
Al fine di approfondire la ricerca sono stati inoltre consultati l Archivio dell Istituto pavese per la Storia della Resistenza e della Età contemporanea, l International Center on the Nazi era – Arolsen Archives di Bad Arolsen e l Archivio storico del Comune di Landriano, che si ringraziano per la collaborazione
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