La battaglia delle Ceneri
(tratto da “ La Resistenza e i suoi Caduti tra il Lesima e il PO” di Ugo Scagni ed. Guardamagna)
“ Un occasione per dare quelle garanzie che vuole la popolazione si presenta il 14 febbraio, giorno delle Ceneri, quando i nazifascisti compiono ancora uno sforzo nell alta Valle Versa per scardinare le postazioni partigiane e presumibilmente per raggiungere e liberare i camerati ancora assediati in Nibbiano.
I nazifascisti muovono di buon ora con una sessantina di uomini, partendo speditamente per Volpara. Hanno il vantaggio di marciare nella nebbia, che proprio nel frattempo si va formando quasi a mascherare il loro cammino. Giunti alla località Versa, compiono però un errore che li rende evidenti: bruciano una cascina, quella del podere condotto dalla famiglia di Mario Cavallari. Più avanti, a Volpara, catturano un giovane, Armando Bossi, e da questi si fanno accompagnare verso le postazioni partigiane.
Alcuni tra i partigiani attestati sulla collina di Moncasacco scorgono intanto, pur tra la nebbia, il bagliore dell incendio e danno prontamente l allarme, ottenendo cosi la mobilitazione generale dei compagni.
I partigiani della Matteotti scendono da Moncasacco e si appostano vicino a Costa Piaggi, dietro un costone che da questa località corre lungo la strada sulla quale devono transitare i nemici per raggiungere Nibbiano.
I giellisti della Milazzo-Deniri si attestano in parte dietro le case di Mollio e di Ortaiolo, mentre il resto si colloca a Campazzo per evitare un eventuale aggiramento nemico delle postazioni partigiane da quella località.
Appena le avanguardie nemiche giungono nelle vicinanze di Mollio, in un luogo denominato Bacà, giellisti e matteottini aprono il fuoco, provocando le prime perdite tra i nazifascisti: è gravemente ferito il capitano delle SS Hoffman Bisping, che comanda l azione, e un milite è ucciso.
In seguito all improvviso attacco, i nazifascisti sono costretti ad arrestare la marcia verso l alto. Alcuni di loro si prodigano per soccorrere il capitano ferito e sottrarlo al tiro delle armi partigiane, mentre il Bossi, miracolosamente illeso, approfitta della situazione per allontanarsi il più possibile dal luogo della sparatoria. I partigiani intanto intensificano il fuoco sui soccorritori, costretti ad avanzare allo scoperto per tentare di raggiungere il comandante. I ripetuti tentativi intesi a recuperare il capitano ferito proseguono così senza successo e alla fine si concludono con la rinuncia a trasferire dal campo di battaglia Hoffmann Bisping che in tal modo muore sul posto.
Viste le difficoltà nel proseguire l azione i nazifascisti ripiegano su Colombarone di Volpara, dove cercano di riorganizzare le file nella prospettiva di una ripresa dell attacco.
Intanto, però, altri partigiani si vanno mobilitando al fianco dei matteottini e di quei giellisti che per primi sono entrati in azione. Sono alcuni distaccamenti della Togni e gli uomini della costituenda 10 ^ Brigata GL Ferdinando Casazza che presidiano la zona di Tassara.
I primi si dividono in due gruppi: il più numeroso va a rinforzare il fronte matteottino nel settore di Moncasacco; l altro scende lungo la sponda sinistra del torrente Versa, si attesta nelle vicinanze di Marchisola e da lì spara sui nazifascisti che si trovano a Colombarone.
I giellisti della Casazza partono da Castellina di Tassara e si appostano attorno a Golferenzo. Sono pochi, questi partigiani che partecipano allo scontro, forse meno di una ventina, ma al fianco ci sono diversi contadini di Tassara e delle località vicine che, preoccupati di dover subire l ennesima rappresaglia, hanno deciso di dar mano ai fucili per fermare i nazifascisti. Quelli di Tassara non sono gli unici contadini che si preoccupano e si mobilitano, perché anche gli abitanti di Mollio e dei paesi vicini, investiti dall\\\'attacco nazifascista, solidarizzano con i partigiani.
Mentre le donne portano cibo e bevande ai combattenti esortandoli a non mollare, gli uomini validi chiedono e ottengono armi. La popolazione, insomma, questa volta non fugge, si difende attaccando gli invasori.
Scriveranno, dopo la battaglia, i responsabili di due brigare Matteotti e la Milazzo-Deniri, a commento di questa fattiva solidarietà contadina:
- Tutti i civili delle località tenute dalle due brigare
hanno partecipato allo sforzo dei patrioti e molti
uomini sono accorsi al combattimento con armi proprie
e quando s’è svolta la lotta all arma bianca, più di uno fu
visto assalire i nazifascisti con i tridenti -
Verso mezzogiorno ai nazifascisti arrivano circa cento uomini di rinforzo e con questi iniziano il contrattacco preceduto da un nutrito fuoco di cannone e di mortaio che mette in seria difficoltà i partigiani.
Sotto l incalzare del nemico i combattenti meno coraggiosi preferiscono ripiegare verso la zona alta, ma non vanno oltre perché la popolazione li esorta ancora e ripetutamente a resistere. Inoltre il tiro delle armi pesanti dei nazifascisti è molto impreciso: colpisce prevalentemente la sommità della collina e questi partigiani si rendono conto che se si ritirassero ulteriormente verso l alto finirebbero sotto il fuoco nemico.
Nel frattempo anche i partigiani ricevono rinforzi: arrivano dalla costituenda Brigata Balladore, che interviene nella lotta con un folto gruppo di uomini al comando di Guerra (Guerrino Bagatti) di Lardirago. Guerra si piazza su un cocuzzolo e comincia a sparare con il suo mitragliatore: è un chiaro invito agli incerti e ai paurosi a non mollare, nonostante le crescenti difficoltà.
All\\\'arma di Guerra fa eco quella del distaccamento comandato da Silvio Marchi, che non ha mai lasciato la postazione occupata in mattinata. Marchi si è appostato con altri dietro le case di Costa Piaggi e da li tiene sotto tiro i nazifascisti che tentano per la seconda volta di percorrere la strada che sale a Ortaiolo.
Ad aiutare Marchi a preparare i caricatori del mitragliatore c è una ragazza del posto, Luisa Acciardi, che ad un certo punto della lotta si è offerta di sostituire un partigiano impegnato altrove.
L episodio è un ennesimo esempio di partecipazione attiva della popolazione alla battaglia in corso. Intanto anche le armi della Milazzo-Deniri dall altura di Mollio, colpiscono la postazione di Colombarone, impedendo così ai nazifascisti di avvicinarsi al fronte partigiano.
La situazione così si protrae per qualche ora senza che nessuno dei contendenti prenda altre iniziative. Poi i partigiani rompono gli indugi e passano all attacco: Fulmine (Stefano Faravelli), pure senza essere stato investito di un qualsiasi comando, comincia ad impartire ordini di attacco con un rudimentale imbuto; qualcuno intona il canto di - Bandiera Rossa -; altri urlano minacce nei confronti dei nemici; altri ancora scandiscono ad alta voce perentorie disposizioni di mobilitazione in modo di far sembrare ai nazifascisti di essere molto numerosi; e insieme, partigiani e contadini, scendono dall alto sparando e cantando verso Colombarone.
I nazifascisti tentano una difesa attorno a questa località ma, incalzati dall alto dal massiccio attacco partigiano, cedono di schianto e si danno a una fuga precipitosa verso Santa Maria della Versa, costringendo alcuni contadini a trasportare fino a questo paese, con i loro carri, le armi e le munizioni che riescono a salvare.
Tra i fuggiaschi, c è Livio Campagnolo, uno dei più feroci torturatori insieme a Fiorentini, di partigiani e di antifascisti. Per sottrarsi alla cattura e alla giustizia partigiana, Campagnolo tenta, insieme a tre commilitoni, di rifugiarsi in una casa della località Casa Re, ma è individuato da un gruppo di matteottini che attaccano la casa a colpi di bombe a mano. L edificio si incendia e nel rogo muoiono i quattro repubblichini.
Giunti a Santa Maria gli uomini della Sicherheits, per sfogare la rabbia per la sconfitta, compiono l ennesima rappresaglia, fucilano nei pressi del paese Mario Cavallari e Ugo Magnani, padre di un partigiano. Alla fine della battaglia e dopo la Liberazione i bollettini partigiani tenteranno di stabilire le perdite dei contendenti, sottolineando che mentre i partigiani avevano avuto solo tre feriti leggeri, i nazifascisti avevano lasciato sul campo una ventina di morti e alcune armi pesanti. La perdita partigiana è attendibile; ma il numero dei morti nazifascisti, dopo la recente pubblicazione di una memoria di Fusco in cui si afferma che in quella giornata morirono undici nemici, va sicuramente ridimensionato.
Indipendentemente dalle perdite, il risultato della battaglia segna unasvolta nella guerriglia perché dimostra agli incerti e ai dubbiosi la riaccesa vitalità del movimento partigiano.
La vittoria è anche la prova che la difesa del territorio dagli attacchi nazifascisti è nuovamente possibile e chi solidarizza con le forze della resistenza dalle stesse forze può ricevere concreto aiuto. Conseguentemente, la popolazione dei paesi in cui è avvenuto lo scontro, preoccupata fino a poco prima, ora, di fronte al chiaro successo partigiano, si libera in una gioia sfrenata.
Quella di Pometo e di Canevino, ricorda Vally nel suo diario, in delirio, porta i partigiani ai sette cieli.
I contadini di Costa Calatroni e di Stadera organizzano feste danzanti: per alcune sere i partecipanti, tra i quali ci sono molti partigiani, cantano, ballano e deridono gli uomini di Fiorentini.
Il parroco di Canevino, don Antonio Grassi, fingendosi menestrello partigiano mette in versi le alterne vicende dello scontro, alla fine del quale - sottolinea –
- il nemico è battuto ed in rotta mentre Hoffmann è ucciso al Bacà -.
Sull onda della gioia e della fantasia popolare, la notizia della vittoria partigiana esce dalla valle e raggiunge altri paesi dell Oltrepò e delle provincie vicine, provocando ovunque entusiasmi e speranze.
( Fonte: - La resistenza e i suoi caduti tra il Lesima e il PO - di Ugo Scagni – ed. Guardamagna) |