contadino, sbandato; nato a Santa Giuletta il 17 agosto 1922 e residente a Santa Giuletta in località Pizzolo; catturato il 6 febbraio 1945 presso la propria abitazione da militi della Sicherheits, veniva ucciso poco dopo nei pressi della località Valsorda di Mornico Losana insieme all'amico Barbieri Remo.
Qui di seguito viene riportato il resoconto del processo istruito contro Onofrio Stoppini di S. Giuletta accusato di avere partecipato all'eccidio di Mornico così come pubblicato sul "Documentario n.1" Edizione Cronache dell'Oltrepò 08 settembre 1945.
Si legge:
<La "spia" di Santa Giuletta pagherà con la vita l'eccidio di Mornico.
Quando Pastorelli fu interrogato sul conto di Onofrio Stoppini, telefonista della G.N.R. a Casteggio, rispose: "Non so nulla di lui, non posso nè escludere nè ammettere che sia stato informatore anche indiretto della Sichereits".
Onofrio Stoppini ha cinquant'anni, e contrariamente ai compagni di prigione, non sembra avere troppo sofferto per questi due mesi di detenzione: ha l'aspetto di un contadino cocciuto, di corta intelligenza, coi nervi saldi, per nulla eccitato all'aspetto della straordinaria posizione in cui si trova.
Febbraio 1945: mancano solamente due mesi alla Liberazione e la corda troppo tesa dei nazi-fascisti sta per spezzarsi. Vengono date le ultime strette e cadono così le ultime vittime.
Tra i fascisti repubblicani di Santa Giuletta è l'imputato che si trova in servizio a Casteggio in qualità di telefonista della guardia. Lo si dice inasprito da un furto perpetrato in suo danno da alcuni partigiani; sono stati loro a sottrargli, a quanto si dice, un cavallo e il carretto. Per questo motivo egli ha dovuto allontanarsi dal paese medesimo e rimanervi assente per qualche tempo. C'è anche chi l'ha sentito, in questa occasione, proferire delle oscure minacce all'indirizzo di tutto il paese e dei suoi abitanti.
Adesso è ritornato a Santa Giuletta, è in servizio e veste la divisa. Tutti hanno paura di lui: lo si ritiene"influente" e i poveri diavoli gli si vanno a raccomandare. E' il caso di due giovani renitenti al governo repubblicano, i quali ,tramite i loro parenti, fanno richiedere allo Stoppini una raccomandazione per entrare alla Todt. Ma egli si dichiara impossibilitato a favorirli ed offre viceversa l'iscrizione e il servizio nella G.N.R.
Gli eventi hanno un corso diverso. I due giovani non si danno per vinti, chiedono ed ottengono mediante i buoni uffici del Cav. Orlandi, sfollato a S. Giuletta e impiegato a Pavia, di entrare alla Todt, Ufficio Lavori. E sembra che il pericolo terrorizzante dei rastrellamenti sia scongiurato per loro.
E' la sera del 25 febbraio ed essi si trovano a casa (località Pizzolo) in permesso. E' nevicato in modo abbondante e le strade sono pressochè impraticabili. Ma l'indomani alle sei bisogna partire. La sera medesima il faccendiere dello Stoppini, tal Camellato, soprannominato Valentino, viene da Redavalle a S. Giuletta con una missione specifica dettatagli dal suo padrone: informarsi se Remo Barbieri e Gino Mezzadra, impiegati della Todt, si trovano a casa oppure no.
Durante la notte l'abitazione del Barbieri è circondata. Una finestra del piano di sopra è sfondata e il Fughini, uno dei più crudeli scherani della Sichereit, piomba nella stanza, intima ai terrorizzati presenti di aprire e al giovane Remo di alzarsi e venire con loro. A nulla valgono i documenti esibiti e comprovanti la sua appartenenza alla Todt.
Trascinato fuori dall'abitazione il giovane semisvenuto dalla paura, la macabra schiera si dirige alla casa del Mezzadra. Si ripete la medesima scena, con la seguente appendice: i due disgraziati vengono spinti alla finestra del piano superiore e costretti a cantare "bandiera rossa" e a salutare col pugno chiuso...la notte.
Poco dopo sulla strada che porta a Mornico, una scarica di mitra abbatte i due innocenti.
Il giorno seguente i parenti dei giustiziati, che ancora ignorano la tragica sorte a loro toccata, si recano all'abitazione dello Stoppini. Sono le otto e la moglie non lo vuole svegliare perchè è appena rientrato. Di qui nascono nell'animo dei genitori i primi sospetti, tanto più che sembra - ma non è certo - che lo Stoppini abbia detto, rivolgendosi a loro: "A quest'ora possono già essere morti".
La conferma della misteriosa inchiesta del Camellato, suo servitore, per quanto riguarda la presenza dei giovani a S. Giuletta, ricollegataalle altrettante ambigue parole di minaccia pronunciate dall'imputato qualche tempo prima, fanno sì che il cerchio dei sospetti si stringe.
L'imputato interrogato sul fatto dal Presidente nega tutto nel modo più assoluto. Al principio del dibattito anzi si afferra il capo tra le mani e grida: "Io non ho fatto niente".
L'escussione dei testi procede monotona e piuttosto confusa: manca un testimonio importante, il Camellato, che all'ultimo momento si è sottratto all'interrogatorio e ha rilasciato una dichiarazione scritta. Alla domanda del Presidente perchè l'imputato si era interessato della situazione dei due giovani, questi risponde:" Così..., volevo sapere come stavano".
La parola vien data al Pubblico Ministero, dott. Salvatore Giallombardo il quale pronuncia una serrata e veemente requisitoria nei riguardi dell'imputato. Egli comincia col ricordare come Onofrio Stoppini "nasca" contemporaneamente alla Sichereit, come egli sia stato l'eminenza grigia del rag. Anelli, agente in contatto diretto con la perversa organizzazione. Fa rilevare come il movente della sua delazione sia dovuto allo scacco da parte sua di avere perduto due mitra per la Guardia Repubblicana. Lo dichiara responsabile dell'atroce tragedia di Mornico.
Brillante la difesa dell'avv. Gino Manusardi il quale, dopo avere messo in evidenza il passato di combattente dell'imputato (due medaglie d'argento e una alleata), fa rilevare come in sostanza non esistono accuse specifiche a suo carico ma solo degli indizi sia pure gravi. Per quanto concerne la supposizione di compartecipazione all'imboscata da parte dello Stoppini, egli dichiara che la sua assenza da casa durante la nottenon significa altro se non che il suo servizio alla G.N.R. era notturno.
Chiede perciò l'assoluzione per insufficienza di prove e in linea subordinata l'applicazione dell'art. 58 e non 54 del C.M.P. di guerra.
La Corte si ritira a al suo rientro dichiara l'imputato colpevole e condannato alla pena di morte.
La folla applaude.>
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