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impiegato, vicecomandante della Brigata "Gramigna", appartenente alla Divisione "Aliotta"; nato a Castelletto di Branduzzo il 18 maggio 1912 e residente a Voghera; caduto in combattimento contro preponderanti forze fasciste nelle vicinanze di Verretto il 2 gennaio 1945. Con lui caddero Ferruccio Luini, Giovanni Mussini e Mario Pietro Rota. A Gabetta è stata conferita la Medaglia d'Oro al V.M. "alla memoria". Un monumento, costruito sul luogo del combattimento, ricorda i quattro partigiani. Una via di Voghera è intitolata a Gabetta.
Da “Documentario n.2 - Edizione Cronache dell’Oltrepò” stampato il 07/11/1945 nell’Officina D’Arti Grafiche di Boriotti & Zolla - Voghera
Era il mattino del 2 gennaio. Verso le cinque all’estremità occidentale di Verretto si sentirono ripetute raffiche di mitra, sventagliate di mitragliatrice ed intermittenti colpi di pistola. Oramai si era un po’ abituati a simili…divertimenti! Perciò si pensò: sarà la volta di Lungavilla. Ma la sparatoria non cessava. Verso le nove vennero le prime notizie: la brigata nera di Pavia, al comando del famigerato col. Arturo Bianchi aveva aperto il fuoco contro una piccola casa di campagna sul confine tra Verretto e Lungavilla. Dentro erano in quattro; e rispondevano validamente al fuoco. Per più di quattro ore si sentì ancora a sparare: poi più nulla. Si udì cantare in lontananza, si videro passare i briganti neri. Qualcuno chiese. Ed essi risposero che ne avevano uccisi quattro. Due erano morti combattendo, due presi vivi feriti, fucilati sul posto. Le carte a loro trovate lì dicevano piemontesi sconosciuti. Così le salme degli eroi restarono sole, abbandonate nel silenzio; con un piccolo filo di fumo in lontananza che rigava il cielo. Il terrore era nel paese; nessuno osò andare. Ma verso sera due giovanette decisero di portare il loro saluto agli ignoti eroi. Ed Andarono. Da un anello del Luini una lo riconobbe; e tutti furono riconosciuti. Erano le salme di Luini, Rota, Gabetta e Mussini. Spogliati delle scarpe e di ogni loro avere i corpi crivellati giacevano incomposti vicinissimi all’entrata della casetta: il fuoco, appiccato dalle bombe a mano dei traditori, crepitava sinistramente, distruggendo le ultime intelaiature del tetto. Allora fu ricostruita, con le prime testimonianze, la lotta eroica. All’alba, circondata la casetta, i brigatisti avevano bussato alla porta. Quelli, compreso che oramai era giunta l’ora della lotta, uno contro venti, risposero coraggiosamente al fuoco. Mussini, colpito a morte, ebbe la forza di uccidersi, per non cadere vivo in quelle mani; Gabetta vistosi circondato dalle fiamme, si gettò nel tubo di cemento armato, sparando continuamente, finchè le mitragliatrici pesanti appostate a poca distanza, squarciando il grosso e generoso ventre del tubo, lacerarono profondamente e mortalmente le carni. Luini e Rota invece già feriti, all’estremo delle forze e senza munizioni, vennero presi e subito fucilati. Ordinando ai suoi spregevoli militi il saluto delle armi alle salme gloriose il pur spregevole col. Bianchi ebbe a dire che, se i quattro partigiani fossero stati militi fascisti sarebbero state certo quattro medaglie al valor militare. “ Viva l’Italia libera” fu l’ultimo grido di fede dei nostri garibaldini! Imitando il gesto del turpe ten. Falanga il plotone dei sicari aveva scaricato le armi, stroncando con il piombo fratricida l’eroica loro resistenza.
Questa è la storia di Castelletto e dei suoi eroi; storia di puro eroismo, di immensa fede nella liberazione e nella redenzione del popolo italiano.
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