Monumento che Dezza dedica ai suoi partigiani
Tratto dal discorso di Giulio Guderzo tenuto a Dezza nel luglio 2012 in occasione dell’inaugurazione del monumento:
“Nel luglio del '76, ben indirizzato da Costantino Piazzardi e da altri amici fidati come Luigi Pollini - il Gregorio della Costa di Montemartino - fui tanto fortunato da stabilire un contatto diretto con Dezza e la sua gente, rappresentata non solo da Gino Zuffi e da un pugno di quei ragazzi del '44, ma anche da più d'uno degli anziani d'allora.
A soli trent'anni dalla fine della guerra, Dezza era già un paese fantasma, ma riviveva quel giorno brillantemente nelle loro testimonianze. Ad ascoltarle, oltre al solito gruppo di insegnanti ticinesi chiamati ad apprendere sul campo le modalità di raccolta delle testimonianze orali, sia a fini scientifici sia per i possibili impieghi didattici, c'era don Tosi che l'anno dopo, nella sua Repubblica di Bobbio, avrebbe pubblicato nomi e cognomi di quei valorosi.
A dar loro e a noi una mano, per meglio inquadrare la storia di Dezza in quella più ampia della Resistenza nella nostra montagna, erano venuti a offrire il loro contributo altri “quadri” e protagonisti importanti di quella stagione, come Felice Alberti, Franco Draghi, Giuseppe Ridella e don Agostino Alberti che ci avrebbero perfettamente chiarito, con Zuffi e insieme a lui, sempre di Dezza, Giacomo Marina, Bruno Rebolini, Emilio Silva e altri ancora come i ragazzi di Dezza, pur di area bobbiese e dunque piacentina, fossero confluiti in una brigata di area pavese, a lungo poi guidata da un coraggioso giovanotto varzese: Angelo Ansaldi che, ci fu spiegato, per via di parenti, una zia materna nella fattispecie, a Dezza era quasi di casa tanto da ottenere che i ragazzi di qui si unissero, nell'estate del '44, al suo gruppetto di varzesi, altresì accresciuto dall'adesione della cosiddetta banda del Penice, guidata da Nando Della Giovanna. In tal modo, ci spiegarono, si era data consistenza alla formazione da cui sarebbe poi nata la garibaldina "Capettini" .
Come poi e perché quei ragazzi avessero impugnato le poche armi di cui potevano almeno inizialmente disporre, incamminandosi su una strada dagli sbocchi tutt' altro che certi, era la domanda fondamentale di quell'incontro. Semplice, peraltro, la risposta: colma ormai la misura, in quel maggio di trentadue anni prima, non restava che ribellarsi.”
Gli scontri di Ceci e di Dezza.
(tratto da “ La Resistenza e i suoi Caduti tra il Lesima e il PO” di Ugo Scagni ed. Guardamagna)
“ l'Il febbraio, ad essere investito da un altro attacco tedesco è il presidio di Dezza. I tedeschi salgono questa volta da Bobbio in una cinquantina e si fanno strada sparando in continuazione raffiche di mitraglia e colpi di mortaio in direzione di Dezza e nei boschi attigui. Un colpo di mitraglia raggiunge la contadina Saverina Malacalza e la ferisce gravemente: morirà diversi giorni dopo all'ospedale di Bobbio.
I cecoslovacchi, seppur in condizioni di inferiorità, vorrebbero dar subito battaglia, ma su suggerimento dei partigiani locali che vogliono evitare una possibile rappresaglia dei tedeschi, accettano di ritirarsi momentaneamente dal paese e di rifugiarsi nelle boscaglie vicine. I tedeschi entrano così indisturbati in Dezza e razziano quel poco che riescono a trovare nelle case dei contadini. Poi costringono alcuni degli stessi contadini che hanno subito la razzia a scortarli con i loro carri, carichi di oggetti vari, nel loro ritorno a Bobbio, affinché fungano anche da scudo di protezione alla ritirata. I cecoslovacchi però non sono disposti a lasciare che i tedeschi ritornino indenni alla loro base, e malgrado le reiterate preghiere di rinuncia dei partigiani di Dezza, che temono per la sorte dei contadini presi in ostaggio, essi, lungo i tornanti della strada per Bobbio, attaccano la colonna tedesca procurandole scompiglio nonché il ferimento mortale di due soldati. I contadini che si trovano nella colonna se la cavano senza ulteriori danni perché, fortunatamente, non sono colpiti dalle armi partigiane e i tedeschi, contrariamente alle loro abitudini, rinunciano a fare altre rappresaglie.
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